Google+ Il Giullare Cantastorie - Scrittori, artisti e band emergenti: Umoristici: un pretesto per guardare avanti - Alessio Cassano

giovedì 10 luglio 2014

Umoristici: un pretesto per guardare avanti - Alessio Cassano

Un uomo e la sua vita. Una lettera ed una sconfitta scuotono il suo animo, costringendolo ad affrontare le sue paure...

Rodolfo Serracchiani si svegliò. Erano le 7, come tutte le mattine. Si stropicciò gli occhi e restò per qualche minuto immobile ad osservare la fioca luce che compariva dalla serranda. Lambert, un pastore tedesco, abbagliava dal giardino ansioso di ricevere la sua colazione, come tutte le mattine. Si alzò dal letto con la lentezza di chi non si aspetta nulla di nuovo dalla giornata. Infilò i freddi piedi nel soffice cuoio delle sue ciabatte. Con passi calibrati e meticolosa precisione si diresse al pentolino del latte. D'un tratto, sentì il rumore acuto di quel motorino che non portava mai nulla di nuovo se non notizie scialbe dal mondo e qualche bolletta arretrata da pagare. Consumò la sua colazione tra il silenzio della camera e il vuoto dei suoi pensieri. Prese le scatola dei biscotti per cani e aprì lentamente la porta che da anni separava i suoi silenzi dal mare di parole della gente. Lambert lo salutò con affetto leccandogli la mano, lui, per tutta risposta, gli lanciò i biscotti nella ciotola. Prese la posta e rientrò frettolosamente in casa. Mentre raggiungeva il divano, i suoi occhi colsero qualcosa di strano: Una lettera. Veniva da Berlino. La aprì con una smorfia di paura e curiosità. Poche righe, scritte con una calligrafia colma di ricordi e duri rimpianti:


« Ciao Papà, Come credo tu sappia, tra pochi giorni tuo nipote compirà 3 anni. Per il suo compleanno ha espresso un unico desiderio: conoscere suo nonno. Voglio che tu sappia che questo non ha niente a che fare con il nostro rapporto e per quanto mi riguarda spero di non doverti vedere, ma l'amore che provo per mio figlio è troppo grande e credo lui abbia il diritto di conoscere suo nonno se è questo quello che desidera. Nella busta troverai un biglietto d'aereo.

Sonia.»

Fissò la lettera per qualche istante, poi la chiuse e la appoggiò sul tavolo. Rodolfo non aveva mai viaggiato. Odiava i viaggi e la gente che ansimando li raccontava. Si alzò e si vestì con tutta la calma che la sua meritata pensione gli concedeva.

Arrivò al bar per le 11. Lo videro entrare preceduto dal suo solito bastone marrone. Ellen, la barista chiappe d'oro, così come la chiamavano da quelle parti, lo salutò, ma lui non rispose.

« Dai Rodo.. possibile che non ti degni mai di salutare quello schianto?»

« A me piaceva più quella di prima, aveva un'aria più familiare»

« Si va beh, è che tu amico mio sei vecchio dentro, ogni volta che cambia qualcosa ti arrabbi, ecco quale è la verità.»

« Probabilmente hai ragione Alfre. Oggi chi vuole provare a sfidarmi?»

Rodolfo Serracchiani aveva paura di due cose : degli aerei, e di perdere la sua imbattibilità a scopa. Quegli strani mezzi tecnologici con le ali non gli erano mai piaciuti, da quando li aveva visti per la prima volta sui giornali aveva sempre diffidato dalla possibilità di usarli.

« Alfrè, dico quando sei lassù se succede qualcosa è finita, non c'è Santo che tenga.» Così aveva risposto quando Alfredo gli aveva annunciato che sarebbe partito per Londra per farsi un viaggetto con sua moglie. Per quanto riguarda la seconda delle sue paure, beh lì la questione si basava più su remoti sogni di celebrità e sulla tenacia con cui il sig. Serracchiani era solito perseguire l'obbiettivo di voler essere ricordato per qualcosa.

« caro il mio Rodolfo questa volta hai perso»

Riccardo gentile, giardiniere in pensione, lo guardava con aria beffarda. Teneva in mano le carte e il sudore della sua stretta rinfacciava al mondo la difficoltà dell'opera appena compiuta. Rodolfo lo guardò, e davanti ad una delle sue pochissime certezze che si andava sgretolando, riuscì a dire soltanto una frase : « Complimenti Riccà, bella partita»

Prese il suo cappotto e si avvicinò al bancone di Ellen, la fissò per qualche istante, cercando nei suoi occhi azzurri tracce di compassione per l'accaduto. Le fece un cenno di saluto e lasciò il bar e quei suoi 4 amici di sempre senza voltarsi, con il passo di chi vuole dimenticare il più in fretta possibile.

Passeggiò senza meta fino a sera. La fame non sfiorò minimamente il suo stomaco e l’unica cosa che pensò bene di mandar giù, fù una birra gelata che scacciasse i pensieri.

Rientrò in casa senza degnare di un saluto il povero Lambert che guardandolo entrare, cominciò a piagnucolare accostandosi lentamente al portone.

Rodolfo si sedette al buio, sprofondò nel divano cercando di realizzare la gravità dell'accaduto. Si ricordò della lettera e la prese tra le mani. La strinse a se, la aprì di scatto e cominciò a leggerla di nuovo, ma stavolta con le proprie dita, con i propri sentimenti, sfiorando al buio quelle parole. I ricordi invasero i suoi pensieri e gli occhi di sua figlia gli ricordarono quello che era stata la sua vita. Nel dolce pensiero di ciò che non poteva più tornare si addormentò. La lettera cadde lentamente dalle sue mani, inghiottita dal buio della stanza e dei suoi sogni.

Rodolfo Serracchiani si svegliò. Erano le 7, come tutte le mattine. Si stropicciò gli occhi e restò per qualche minuto immobile ad osservare la fioca luce che compariva dalla finestra della sala. Lambert, il pastore tedesco, abbagliava dal giardino ansioso di ricevere la sua colazione, come tutte le mattine. Si alzò dal divano con la lentezza di chi non si aspetta nulla di nuovo dalla giornata. Infilò i freddi piedi nel soffice cuoio delle sue ciabatte. Con passi calibrati e meticolosa precisione si diresse al pentolino del latte. Rimase immobile per qualche istante davanti a quell'oggetto che sua moglie aveva comprato all'incirca 30 anni prima. Si voltò velocemente e corse in camera. Prese dall'armadio due valigie ormai piene di polvere. Raccolse quei pochi vestiti che aveva e li infilò dentro senza un preciso ordine. Chiuse le valigie e si diresse verso la porta. Guardò l'appendiabiti all'entrata e prese il cappello verde, quello che lo accompagnava nelle lunghe passeggiate che si concedeva le domeniche quando non c'erano partite a scopa. Uscito dalla porta si chinò verso Lambert e sussurrò alle sue orecchie che sarebbe tornato presto. Gli lasciò nella ciotola cibo e acqua, poi uscì dal cancello e non si voltò nemmeno quando il pastore tedesco cominciò ad abbaiare con tutta la forza che i suoi 15 anni gli avevano lasciato in corpo.

Il lunedì al bar rimasero tutti sorpresi di non vedere arrivare Rodolfo. Qualcuno disse che era morto. Qualcuno azzardò l'idea che avesse voluto cambiare vita. Ellen, dal canto suo, disse che probabilmente si vergognava solo a tornare al bar per via del fatto che aveva perso a scopa.

Il mondo da lassù sembrava così piccolo, così ricco di colori da sembrare un quadro. Pensò che non era poi così terribile viaggiare in quel concentrato di tecnologia.


Quando tornò al bar 2 settimane dopo, Rodolfo Serracchiani disse soltanto due cose: di non volere più giocare a scopa e di ritenere l'aereo una bella invenzione.

Si avvicinò con passo deciso al bancone di Ellen e prese dalla tasca della giacca una foto.

« Siamo io e mio nipote sulla spiaggia. Mi assomiglia vero? Diventerà sicuramente un campione di quel gioco di carte a cui giocano quelli ricchi e intelligenti.»

« il Bridge?»

« Si esatto. E lo sai Ellen? Hai proprio un bel sedere!»


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