Google+ Il Giullare Cantastorie - Scrittori, artisti e band emergenti: Giò - Valentina Moscatiello

giovedì 10 luglio 2014

Giò - Valentina Moscatiello

Giò stava seduto da anni su quel muretto, coi piedi a penzoloni e giù il mare. La gente diceva che un giorno era diventato matto, ma uno di quelli buoni. Un matto buono, ecco. Che non dà fastidio ai bambini, che saluta sempre indietro. 
A volte ti avvicinavi e glielo chiedevi perché stesse sempre lì.
E lui ti rispondeva continuando a fissare il mare davanti a sé, ti diceva: “Cerco una parola”. Ma i matti dicono cose senza senso, si sa. Gli appoggiavi e strisciavi la mano sulla spalla, e poi te ne andavi.


Ogni tanto un bambino si avvicinava, zitto, iniziava a guardarlo. Allora Giò si girava e si lasciava guardare: le rughe solcavano la faccia così a fondo che avresti giurato fossero delle cicatrici. La pelle era sottile, aderente, si infilava tra le ossa e si raccoglieva in grinze nel collo e nelle mani. Giò, zitto anche lui, avvicinava le dita tremanti alla sua fronte, ma mai, mai una volta che arrivasse a toccarlo davvero. Non ci riusciva proprio. Tu non lo capivi perché non lo finisse mai quel gesto, perché rimanesse lì con le ossa e le vene sospese. Le pupille gli diventavano enormi e l’iride scompariva in una fissità buia. Tu non lo capivi proprio, ma ai bambini non dava fastidio e allora non ci pensavi più.

Giò aveva forse cent’anni. Qualcuno diceva che da giovane si era sposato e che sua moglie incinta cadde in mare poco dopo. Affogò. Qualcun altro invece provò a chiedergli per molto tempo come si sentisse, ma Giò rispondeva che non lo sapeva, diceva solo: “Io non lo so”, così un giorno smisero di fare domande. 
Una volta mio figlio andò da lui, lo guardò in silenzio per un minuto, forse due. Tornò da me e mi chiese semplicemente: “Papà? Perché è triste quel signore?”.

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