Ti scrivo da un cavalcavia,
di fianco al ponte segnato dai passi lenti
di passanti estraniati dal contesto,
come comparse di un quadro all’aperto,
ritocchi su una tela che si distanzia,
colmandoli di innocua staticità.
Ti scrivo dal punto più basso dell’io,
sconfitto a dama da un campione di scacchi,
mangiato dal senso di inappetenza.
Vorrei essere un arbusto che fa breccia nella pietra,
sono pietra dilaniata dall’arbusto
o da me stesso, non ricordo,
sgretolato da agenti di polizia interstiziale,
costretto a spaccarmi per continuare.
Quanto a lungo può segnare il dolore?
Quanto a fondo può scendere il niente?
Disordinato da segni indelebili
Lascio solo un messaggio a matita:
Perdente in una gara di false partenze,
ultimo dei traditori.
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