Google+ Il Giullare Cantastorie - Scrittori, artisti e band emergenti: Il muro - The Useless

sabato 31 maggio 2014

Il muro - The Useless

”Quante volte dovrò ancora scontrarmi con me stesso prima di accettare i miei limiti? Quante altre volte dovrò rimanere deluso? Quante energie dovrò ancora spendere in domande che resteranno necessariamente senza una risposta?”

Marco pensava, ed ogni volta era la stessa identica storia, un ciclo infinito di esperienze che lo portavano sempre alla stessa tragica conclusione, ovvero che desiderare ciò che non appartiene alle possibilità dell’essere umano lo avrebbe prima o poi distrutto.

Nonostante questa consapevolezza, Marco ci provava, pur essendo restio, ad aprirsi, a condividere la propria interiorità, a lasciar entrare persone nella sua vita, a fidarsi, a lasciarsi andare, ma ogni volta finiva allo stesso modo, con l’alienazione, la lontananza, il buio.

Di tanto in tanto, Marco trovava anche ragazze a posto, ragazze serie, intelligenti e intuitive, ma non gli bastava, lui desiderava qualcosa che non poteva essere suo, mai!

Un giorno Marco incontrò Cristina, una ragazza stupenda, in ogni sua manifestazione umana, ed appena la loro relazione iniziò a farsi più seria, decise di riprovare nella sua disperata impresa di sentirsi in contatto con qualcuno.

Marco e Cristina passarono ore occhi negli occhi, scambiandosi carezze, comunicando nel silenzio, sussurrando l’uno all’orecchio dell’altra.

”E’ questa la felicità?” si chiedeva Marco, negli ultimi istanti in cui aveva avuto la possibilità di godere di una vastità indescrivibile di sensazioni positive. Marco era sereno, non pensava, non lasciava correre la sua mente nei soliti luoghi oscuri che lo avevano portato all’isolamento emotivo, era sereno.

Lo era, fino a quel tragico, ciclico, annichilente momento.

Inevitabilmente arrivò quell’istante, quello in cui l’effetto quasi oppiaceo della presenza di lei si affievolì e Marco, dopo essere tornato lucido, iniziò a riflettere ed a ripensare ai momenti trascorsi con lei.

Ed eccola arrivare! La solitudine! Quella sensazione di gelo che avvolge, che strozza le parole in gola e le dissolve in una nube di ghiaccio senza mai permettere al suono di propagarsi.

Marco ripensò al momento in cui lui e Cristina si stavano guardando negli occhi e prese nuovamente coscienza di una terribile e immutabile verità: siamo soli. Marco aveva tentato di instaurare un contatto profondo con Cristina, ma il contatto umano è di per sé, strutturalmente fallimentare.

Si accorse di aver sentito una precisa sensazione, come se il suo essere, nel tentativo di espandersi e di inghiottire Cristina, si fosse bloccato, strozzato, incastrato all’interno del confine corporeo, proprio in mezzo al petto, tra la cassa toracica e la pelle.

E Marco si era sentito proprio così, soffocato, immerso nel fango del materialismo, costretto a tenere dentro di sé tutto l’amore che sarebbe stato in grado di trasmettere a Cristina, se solo vi fosse stato un anello di congiunzione tra le loro anime.

Marco fu come gettato nuovamente a terra e incatenato, imprigionato in una realtà che non gli apparteneva, che non lo soddisfava, costretto ad un sentire mai condiviso, che lascia in bocca un retrogusto amaro quasi insopportabile.

”Siamo galeotti, reclusi in noi stessi, siamo come prigionieri della nostra stessa limitatezza, schiavi della nostra forma umana, destinati ad intravedere la luce da dietro le sbarre di una piccola finestra, senza mai potercene fare avvolgere.” Pensava Marco tra sé e sé mentre strappava via quel poco di unghia che gli restava sull’indice sinistro.

”Come può vivere chi non accetta questi limiti? Sopravvive. Tutti sopravvivono, la differenza sta solo nello sforzo che questo andare avanti richiede ad ognuno di noi, e che a me richiede una tal fatica che mi sento fisicamente consumato.” disse a sé stesso ad alta voce mentre si gettava sul letto, stremato dal troppo pensare.

Marco non lo accettava, si trovava in balìa di sentimenti che solo lui poteva sentire e non era in grado di raccontare né a parole, né con lo sguardo, né con qualsiasi altro mezzo esistente o pensabile.

Si sentiva quasi circondato, accerchiato da potenziali pericoli, gettato a capofitto in un universo in cui fiducia non era una cosa neanche lontanamente pensabile, proprio per la sua incapacità conoscitiva, che gli impediva, come impedisce a tutti, di scrutare nell’animo profondo delle altre persone per sapere davvero chi esse siano.

Questo suo modo di vivere le cose procurava dei corti circuiti comunicativi con Cristina, la quale sembrava non rendersi conto di quanto egli fosse tormentato, nonostante i timidi ed incerti tentativi di farglielo capire.

Marco amava Cristina e si sentiva con lei come non si era sentito per moltissimo tempo, ma temeva che questo muro fatto di carne, sangue ed ossa li avrebbe, un giorno, allontanati.

Ma da chi, questo muro corporeo, non lo avrebbe allontanato?

Fu quella, la solita domanda, quella fatidica e gelida domanda che gli faceva sempre sentire la necessità di fuggire, di raccogliere le sue cose e raggiungere il luogo più solitario e sperduto della crosta terrestre.

Marco era spaventato, da una parte non voleva fare del male a Cristina con il suo umore precario e altalenante, dall’altra non voleva più farsi male, non voleva più delusioni, non voleva altro dolore.

Così Marco decise di lasciare che Cristina potesse cambiare strada, lontano da lui, voleva che lei imboccasse una strada sicuramente meno tortuosa e faticosa della sua.

La sentì suonare alla porta di casa. Scese.

”Cristina io…” Marco la guardò negli occhi e si fermò. Cristina gli stava sorridendo. Le parole gli si strozzarono in gola e sentì come se la terra sotto ai piedi si stesse dissolvendo.

Lui non era solo, quando era con lei, e forse, per un sorriso come quello, valeva la pena rischiare.


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