Google+ Il Giullare Cantastorie - Scrittori, artisti e band emergenti: Il punto di vista privilegiato - The Useless

mercoledì 9 aprile 2014

Il punto di vista privilegiato - The Useless

Lucia amava osservare. Era fermamente convinta che le persone raccontassero la storia della loro vita attraverso lo sguardo, le movenze, il modo di esprimersi, le grinze della pelle, le cicatrici e tutti quei dettagli che rendono una persona unica nella moltitudine.

Si sedeva spesso nei luoghi più affollati, in compagnia del suo lettore mp3, e guardava, decifrava, ammirava, calcolava.

Lucia aveva il dono di leggere le persone, anzi, era piuttosto condannata alla visione della realtà in tutta la sua crudezza, era completamente priva di quel filtro patinato con cui le persone vivono le relazioni umane, priva di quella forma di cecità che porta a fidarsi di quello che gli altri vogliono far credere di sé.

Lucia amava le persone in un modo tutto suo, amava comprenderle, amava spogliarle delle loro piccole menzogne ed amava metterle davanti ad uno specchio, affinché potessero vedersi come lei le vedeva.

Si sa, alle persone piace crogiolarsi nella loro visione alterata ed idealizzata di sé, seppur non rispondente al vero, e Lucia, che non sapeva mentire e non riusciva a fingere di credere all’immagine distorta che le persone tentavano maldestramente di attribuirsi, era considerata un pericolo, un’insensibile, talvolta un mostro.

Questo portò Lucia ad essere sempre più isolata, sempre più rinchiusa nel suo piccolo angolo di realtà, sempre a fianco degli altri, ma mai vicina. Imparò a non aprire mai le porte del suo cuore a coloro che frequentava, emulando gli altri nella loro finzione, ma mantenendo sempre una diversa consapevolezza.

Lei stava bene nella sua condizione di esiliata nel mondo, era convinta di avere un punto di vista privilegiato, certa che nessuno l’avrebbe mai ferita, che nessuno avrebbe mai potuto privarla della sua serena disillusione.

La sola cosa a cui Lucia permetteva di abbandonarsi era la musica. Aveva un rapporto simbiotico, quasi maniacale col suo lettore mp3, che le rendeva la vista della bruttezza del mondo un po’ meno dolorosa e un po’ meno violenta.

Cambiando traccia era come se cambiassero i colori, come se tutto intorno a lei mutasse, come se tra le note di Beethoven o dei Rammstein o di John Coltrane ci fossero messaggi cifrati sempre diversi, che sconvolgessero, brano dopo brano, l’equilibrio delle cose. Questo la affascinava, era come fare sempre viaggi diversi, scoprire luoghi diversi, attraversando una ad una tutte le dimensioni sensoriali.

Un giorno, mentre si dilettava come suo solito nel passare in rassegna tutti gli sguardi dentro una sala, alle prese con le sue considerazioni e con le sue deduzioni, ne incontrò uno diverso.

Per un attimo trasalì. Non le era mai capitato di incontrare uno sguardo che la mettesse a disagio, uno sguardo che non sapeva decifrare, che non sapeva leggere, ma che le sembrava stesse leggendo lei. Questa sensazione le provocò un intenso sconvolgimento emotivo, ma allo stesso tempo un’irresistibile curiosità di capire a chi appartenessero quegli occhi tanto oscuri, quegli occhi tanto interessanti nella loro indecifrabilità.

Così Lucia conobbe Andrea. Un uomo molto più grande di lei, un uomo che aveva tanto vissuto, che aveva tanto sofferto, un uomo che la percepiva e che non era spaventato dal modo in cui lei vedeva le cose ma che, anzi, ne era affascinato.

Scoprendo Andrea, giorno dopo giorno, Lucia capì che il suo caos interiore e quello di lui avevano misteriosamente una comune equazione di fondo, un comune esplosivo ordine.

Lucia amò Andrea, lo amò perché i suoi occhi erano oscuri, lo amò per la sua entropia interiore, lo amò perché lui l’accarezzava, gli occhi nei suoi, senza temere che lei lo esplorasse.

Poi un giorno, improvvisamente, Andrea alzò un muro tra le loro due anime, tra le loro distinte realtà che a lei parevano la stessa, come in Germania alzarono il muro di Berlino, in una notte.

Lucia non capiva, era convinta che lui non la temesse come la temevano gli altri, era certa che lui l’avesse compresa, che non l’avesse ritenuta un pericolo o una mostruosità del creato come molti avevano fatto, era convinta che lui, pur senza averlo mai detto, l’amasse.

Forse lei non era mai riuscita a leggere Andrea, forse si era illusa e forse, in fondo, Lucia non era diversa da tutte le persone che aveva sempre disprezzato per la loro irritante ingenuità.

Lucia decise di tornare ad osservare il mondo da lontano, come aveva sempre fatto, con la compagnia della sua fidata musica, decodificando, leggendo, studiando gli altri dal suo punto di vista privilegiato. Lei, però, non cercava più di smascherare gli altri. Lucia cercava Andrea. Lo cercava in tutti i modi di esprimersi, in tutti gli atteggiamenti, in tutte le cicatrici, in tutte le movenze, in tutti i sorrisi che incontrava. Lucia cercava Andrea, in tutti gli sguardi del mondo.

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