Salivo. Tu scendevi.
Ma io sprofondavo. Tu conquistavi i tuoi mondi.
Nelle tue terre aride un giorno hai piantato fiori.
Hai inventato giardini dicendoli sempre esistiti.
Simbologia inversa.
Pugni nello stomaco a togliere il respiro.
A distogliere la biro.
Quella con la quale mi scrivevi del Sole e del tuo volto sanguinante.
Eri una scintilla improvvisa che divampava deridendo la pioggia.
Eri un crepitìo di fiamme nei miei occhi.
Mi si decompone l’iride alla vista dei miracoli.
Dei santi. Dei beati. Degli arcobaleni. Dei miei demoni.
Calamite identiche che si guardano e si respingono,
in piedi su scale mobili tra magnetismi e fulmini.
Fievoli vocine strozzate ad impacchettare saluti.
Erano suicide impiccate le tue quattro lettere: c, i, a, o.
Le vedevo appese alle nuvole con capelli ad improvvisarsi corde.
Mi entravano in gola, le ingoiavo, le conservo ancora nello stomaco.
Salivo. Tu scendevi.
Ma io sprofondavo. Tu conquistavi i tuoi mondi.
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