Google+ Il Giullare Cantastorie - Scrittori, artisti e band emergenti: None_0: di hakeraggio e gemelle omoziGotiche - Luca Della Casa

martedì 27 maggio 2014

None_0: di hakeraggio e gemelle omoziGotiche - Luca Della Casa

Eric era ancora vergine, ovviamente.
«Hai mai avuto a che fare con una sorca vera?»
«Oh no, no… mi piacerebbe però, eh, eh.» Guardava il soffitto, ciondolando lievemente sulla sedia, senza smettere di schiacciare i tasti.
«Parigi è piena di belle gnocche che non vedono l’ora di metterti le mani addosso, lo sai? Ma già, come fai a saperlo… tu non esci mai.»



Avevo conosciuto Eric –era questo il suo vero nome–, una decina d’anni prima a Parigi. Le cose nelle agenzie non andavano particolarmente bene in Spagna, così mi ero deciso a cercar fortuna dai vicini. In realtà anche nella gran capitale non c’era troppo da fare. L’editoria e la carta stampata erano in caduta libera sicché non mi restava altro che tentare di riciclarmi nella Rete, cosa non facile, comportava assimilare un mucchio d’informazioni completamente nuove. Passavo il tempo scaricando tutorial inutili e frequentando corsi inconcludenti; sembrava che i miei sforzi non approdassero a nulla. Avevo bisogno di nozioni pratiche e non sterili teorie. Quando ormai cominciavo a disperare, trovai un corso on line di Eric che insegnava a montare da zero un sito dinamico con database e Php. L’amico utilizzava un metodo d’insegnamento semplice ed efficace –“a prova di deficiente”, come diceva lui– che in meno di due settimane mi fece assimilare tutto ciò che non avevo appreso nei mesi precedenti. Eric conosceva e diffondeva insegnamenti su ogni tipo di linguaggio. Mi sciroppai parecchi dei suoi tutorial e ciò mi permise di trovare qualche nuovo cliente. Si poteva chiacchierare con lui attraverso il chat del Blog; era un tipo disponibile e divertente.
«Che genere ascolti Eric?»
«Brit Pop, Electro, IDM…»
«Vuoi che ti mandi qualcosa di buono?»
«Come no… stupiscimi!»
Lo inondai di musica, gli piaceva ciò che gli mandavo, soprattutto i vecchi gruppi degli anni ’70 e ’80 che non conosceva affatto.
«L’altro giorno ho montato un’app in Java, ascoltando i Kraftwerk.» Ammise. «Le mani volavano da sole sui tasti.»
Scoprii che anche viveva a Parigi e un giorno gli proposi di vederci. «Lascia che ti offra qualche birra. È il minimo.»
«Mai bevuto birra, ad ogni modo, non si servono alcolici ai minorenni.»
«Scusa, ma quanti anni hai?»
«17 :)»
«Ah!»
«E tu?»
«36.»
«Caspita! Dev’essere duro per te assimilare queste cose alla tua età.»
«Il problema non è imparare ma ricordare.» Confessai.
«Già!»
«Beh, se vuoi possiamo farci una Pepsi.» Continuai.
«Io vivo qui.» Rispose Eric dopo una pausa.
Si aprì l’immagine della Sixieme, una bella zona, non lontano dal centro di Parigi.
«Ci troviamo in qualche Bar dalle tue parti?»
«No, niente Bar, questa è casa mia.» Sul monitor apparve la foto dello stabile, con i dati della via e il numero.
«Così tu saresti l’alunno di mio figlio.» Disse la madre di None_0, versando il te. «Beh, non è mai troppo tardi per imparare.»
«E dai, mamma, cazzo dici?» Protestò Eric. Era un tipo piuttosto timido e introverso, ben differente da come l’avevo immaginato, seguendo i suoi tutorial o chiacchierando nel chat. Porse la mano moscia, con un mezzo sorriso, senza quasi guardarmi in faccia; si era poi andato ad appollaiare in fondo al tavolo, senza mai alzare lo sguardo dal pavimento. Non controllava troppo bene il movimento del braccio sinistro: la mano sfarfallava, sempre più rapida, mentre la madre parlava di lui. Eric, sebbene non fosse basso di statura, era molto magro, piuttosto pallido, coi capelli castani e occhi irrequieti dello stesso colore; aveva un naso appuntito e simpatico che lo faceva assomigliare a una faina, si vestiva in modo semplice e informale come se il look non fosse una cosa che importasse.
«Manuel non ha l’aria d’essersi offeso.» Continuò la madre.
Scossi la testa. «Non sono più un ragazzino, è la verità.» Aggiunsi.
«Sono contenta che tu sia venuto a trovarlo, è sempre solo, in casa, sempre attaccato al Pc; quello è il suo mondo, non il nostro.»

La madre mi raccontò la storia di Eric, nonostante le sue proteste. Il figlio era un bambino prodigio che con 17 anni era già ingegnere informatico; un titolo che aveva dovuto prendere on-line perchè non riusciva a frequentare i corsi di persona. Cose semplici come uscire di casa, prendere il metrò e stare in classe, erano per lui degli ostacoli; il contatto con la gente lo frastornava. «I medici hanno parlato di disturbi del comportamento, sindromi… di Tourette, Aspenger e non so che altro, ma la realtà è che gli specialisti non ne sanno nulla. Mio figlio è mio figlio! Ha la sindrome di Eric… non è fatto per il mondo, e questo è tutto.»

«Mamma, per favore, smettila adesso!»
«La morte di suo padre è stato un gran colpo per lui.»
Il vecchio era morto qualche anno prima; per fortuna aveva lasciato una bella casa grande e una pensione alla vedova.
«Uff, Dio mio, che pesantezza. Vieni, Manu, ti faccio vedere dove lavora il mitico 1manBand.» La stanza di Eric ricordava il laboratorio di uno scienziato pazzo, sulle pareti c’erano delle belle riproduzioni di bonazze cyber punk, foto di città, strutture e macchine avveniristiche. Accese lo stereo: “This Hollywood Life” tuonò attraverso le enormi casse Bose. «Ti piacciono gli Suede?»
«Non sono il mio genere, però questa canzone non è male.» Risposi.
«Sei estremo tu. Eh, eh.» Osservò, ridacchiando alla Forrest Gump.
Il tavolo era letteralmente ricoperto di componenti, tablet e cellulari. Aveva un Mac e un Pc scoperchiati. Li accese entrambi.
«Che sistema usi?» M’informai.
«None_0.0.8»
Scossi la testa.
«È roba mia, basata su Unix.»
«Cazzo! sono tutti numeri e simboli… ma chi accidenti ci capisce?»
«Gli iniziati, eh, eh, tra i quali un giorno ci sarai anche tu.» Vicino alla torre del Pc c’era un grosso ventilatore. «Sto provando degli acceleratori e a volte il processore si surriscalda. Eh, eh.» Ridacchiò di nuovo.

«Io non ci capisco nulla di ‘sto linguaggio.» Protestai guardando sconcertato ciò che appariva sul monitor.
«Perchè sei abituato all’interfaccia. Mano a mano che imparerai ti renderai conto che gli interpreti grafici non servono a granché, solo a rallentare il computer, proprio come nell’esistenza; la conoscenza di ciò che conta va oltre la realtà apparente delle cose.»

Lo guardai a bocca aperta. «E come faccio a imparare, ammesso che ne sia in grado.»
«T’insegno io… se hai voglia.» Eric compilava mentre parlava, non guardava me o lo schermo ma un punto indefinito a lato della tastiera, digitando a velocità folle, in un attimo creò un attraente interfaccia grafico apposta per me. «Prima lezione.» Annunciò. «Dell’irrinunciabile divertimento di programmare in C++»
Passai i mesi seguenti studiando ciò che m’insegnava, andavo a trovarlo spesso, per la felicità di mammá. Le mie visite non dispiacevano neanche a lui, non si sentiva troppo a disagio quando c’ero io e la sua mano cessava di sfarfallare, o quasi. Eric si dimostrò entusiasta quando venne a sapere delle mie scorribande con i Black Blocks, ascoltava elettrizzato i racconti degli scontri con la polizia alle manifestazioni contro il G20. «Dopo i casini di Genova non mi lasciano più entrare nelle nazioni che ospitano i summit. Sono schedato ormai.» Ammisi.
«Wow, che forte!» Esclamò.
Un giorno Eric mi presentò a una decina d’amichetti in videoconferenza, i collegamenti provenivano da differenti parti del pianeta: Germania, America, Giappone, Australia… «Ci furono commenti non troppo simpatici nei miei confronti: «Mi sa che è un po’ passato per imparare…» Rilevò una tizia di Sidney.
“Non ha proprio l’aria di essere un fulmine.» L’appoggiò lo stronzo di Chicago. «Sicuro che mio nonno con l’Alzaimer, gli dà la birra.»
«Ma ci si può fidare?» Insinuò il giapponese.
«Dai, ma l’hai visto bene? Non ha l’aria d’essere uno sbirro.» Contestò il tedesco. «None_0 ha detto che era dei Black Blocks.»
«Manuel possiede una dote molto speciale.» Tagliò corto Eric. «Ha un sesto senso per scoprire informazioni. Dategli cento porte e lui vi dirà qual è quella giusta d’aprire.»
Non avevo mai capito per quale ragione None_0 fosse sicuro della mia facoltà di “sentire la Rete”, come diceva lui però col tempo mi resi conto che non aveva torto; le mie intuizioni a volte sembravano prodigiose. Fatto sta che insieme alla programmazione cercò d’insegnarmi “l’hakeraggio”, come lo chiamava; con grandi sforzi da parte di entrambi, per via della mia difficoltà a ritenere le nozioni.

«Per quale ragione si perfora?» Gli domandai.
«Soprattutto perchè è divertente però, ora come ora, perchè è indispensabile. Il Grande Fratello è stato creato per controllare la gente non per proteggerla, noi lo dimostriamo perforando i sistemi di difesa, le centrali d’energia, le banche, i ministeri… non si tratta di rubare o di provocare danni; solo provare quanto siano indifesi di fronte a dei reali attacchi cyber.» Eric era convinto che la società umana fosse sull’orlo del baratro però lui, a differenza di me, aveva ancora qualche speranza.

Oltre all’Hakeraggio e alla musica, anche la passera l’appassionava particolarmente. Tra una lezione e l’altra, mostrava la sua raccolta di “belle gnocche” scaricate dalla rete. Aveva dei buoni gusti, a dire il vero, le tipe dovevano essere proprio interessanti per fare parte della collezione. «Guarda questa, è nera ma ha la micetta tutta rosa, eh, eh!» Osservava, ridacchiando. «Quest’altra è la Duchamp, la regina del Latex, visto che razza di meloni?»
Eric era ancora vergine, ovviamente.
«Hai mai avuto a che fare con una sorca vera?»
«Oh no, no… mi piacerebbe però, eh, eh.» Guardava il soffitto, ciondolando lievemente sulla sedia, senza smettere di schiacciare i tasti.
«Parigi è piena di belle gnocche che non vedono l’ora di metterti le mani addosso, lo sai? Ma già, come fai a saperlo… tu non esci mai.» Eric si era preparato un angolino con bicicletta statica, manubri e banco per gli addominali. Si teneva in forma a modo suo. Aveva una lampada UV, così non era obbligato a uscire troppo spesso a prendere il sole. «Hai presente 2001 Odissea nello spazio?» Diceva. «Gli astronauti che andranno su Marte vivranno proprio come me.»
«Non andremo mai su Marte.» Lo stuzzicavo.
«Sì, invece, vedrai che ci andremo.» Assicurava lui indispettito.
Il giorno del suo diciottesimo compleanno sua madre ed io lo convincemmo a lasciare l’astronave. Me lo portai a fare un giretto nei locali e negozi nel quartiere della Bastille. Era una bella giornata di primavera, si celebrava la festa della musica: chiunque avesse voluto avrebbe potuto suonare per le strade, nei locali e nelle piazze. C’era un mucchio di gente allegra, vestita in modo piuttosto strano; tutti si sforzavano di apparire felici “Le Jour de la musique.” Eric, all’inizio, sembrava seriamente angustiato e ripeteva, come un disco rotto, sempre la stessa cosa: «Quando torniamo a casa?»
In seguito, le strade si animarono tanto da non riuscire quasi più a camminare. C’infilammo nel “Petit agité”: un gran Disco Pub dove c’era musica che piaceva a noi, Eric finalmente si calmò un poco, gli feci bere la prima birra della sua vita; parve gradire l’effetto ma non il sapore. «Sembra piscio congelato. Eh, eh.» Rilevò con la testa inclinata, guardando per terra.
«Dì, Eric, hai visto quante belle leprotte ci sono in giro?»
«Si, si! Ce n’è un mucchio. Eh, eh.» Confermò lui spiando di sottecchi. «Punk e gotiche, con capelli da spaventapasseri, la mini e le calze rotte… me lo fanno rizzare.» Ammise.
«Vuoi ancora andare a casa?»
«Mah, forse è meglio se restiamo un po’.» Bevve ancora un sorso dalla birra. Agitò lievemente la testa a suon di musica.

Infine arrivarono le “gemelline omozigotiche”, come le avevano soprannominate nell’ambiente. Loro sì che erano creative in quanto a look. Quella sera si presentavano con lunghi capelli tinti di nero tirati all’indietro, con meches verdi e porpora, tenuti con fermagli a forma di teschio e foulard di trine. Erano accuratamente rasate a zero quattro dita sopra le tempie, alcune treccine fini si agitavano, come se avessero vita propria, ciondolando davanti alla faccia. Fondotinta candido, pesante trucco gotico, innumerevoli piercing, anelli e orecchini, adornavano i bei visetti da bambole di porcellana. Lenti a contatto fluorescenti conferivano al loro sguardo un inquietante tocco psicotico. Erano minute, sul metro e settanta, ma talmente carine… non mi sarei mai stancato di guardarle e di averle attorno. Per l’occasione indossavano camicette dei NIN e giacche di vinile in stile cyber, con innumerevoli cerniere, badges e borchie. Le calze a rete con maglie fini indossate sui collant smagliati e gli immancabili anfibi, completavano la mise rigorosamente nera.
Si erano accostate a noi, vicino al bancone. Eric le sbirciava sorridendo.
«È il fratellino minore che hai portato dalla Spagna?» S’informò Chantal.
«No, è un amico.» Risposi.
«Carino.» Osservò Anais, gli si avvicinò e prese ad esaminarlo minuziosamente, Eric rimase a testa bassa, le attenzioni della gemella lo innervosivano e il braccio sfarfallava fuori controllo.
«Cosa fai con la mano?» Domandò lei, candidamente.
«Niente, è un tic nervoso.»
«Caspita, potrebbe servire per suonare la chitarra?»
«Magari a fare slapping sul basso, non so… eh, eh.»
Le gemelle fecero qualche giro nel locale, senza smettere di confabulare e guardare dalla nostra parte. Infine decisero di restare definitivamente a farci compagnia. «C’è sempre la solita gente in giro.» Si lamentò Chantal.

«Carino, simpatico e un po’ spastico, il tuo amichetto comincia ad appassionarmi.» Fece sapere Anais, dopo essersi ammazzata di risa con lui tutta la serata.
«Eric è un tipo geniale, vale la pena conoscerlo.» Confermai.
«Scopa?»
«Bisogna ancora inaugurarlo! Oggi compie diciotto anni… quale occasione migliore?!»
«Ma va, giura!» Esclamò Anais, sorridendo da un orecchio all’altro.

«Parola di Boy scout.»
«Voilà, e adesso chi la ferma più quella maniaca di mia sorella? Sarà già bagnata solo all’idea di sverginare un ritardato.»
«Chantal, per favore, non cominciare a fare la stronza, fai uno sforzo per stasera.» La pregai.
«Mm, che mi dai a cambio?»
«Tutto ciò che vuoi, decidi dove lo vuoi che io te lo do.»
«A casa nostra che la tua fa schifo.»
Chantal non era difficile da accontentare: si metteva alla pecora e amava farsi sbattere fino all’alba, Anais era ben più fantasiosa; visitava i siti porno estremi e prendeva buona nota.
Le gemelline erano omozigote: “con lo stesso DNA!”, ci tenevano a specificare; identiche, insomma, come due gocce d’acqua. Quando uscivano “a caccia di vittime” come dicevano loro, si vestivano e truccavano scrupolosamente nello stesso modo. Le divertiva alquanto far confondere la gente, si scambiavano di nascosto gli interlocutori per mandarli in completa confusione e osservare deliziate le loro espressioni di sconcerto. C’ero cascato più di una volta anch’io. «Come sarebbe a dire che mi leccheresti fino a consumarti la lingua? Sono Chantal, non quella viziosa di mia sorella.»
Eric non ci era cascato, però, ed era stato immediatamente in grado di distinguerle. «Anais ha una minuscola lentiggine sul lobo dell’orecchio sinistro.» Rilevò. La sua analisi andava oltre l’apparenza estetica. «Chantal è più seria; quello di vestirsi strano e fare l’alternativa è una posa, invece Anais è matta come un cavallo e ci crede veramente. Eh, eh.»
«Eh, eh.» Avevano ripetuto entrambe: una divertita, l’altra un po’ meno.
Chantal ed io, ci avevamo dato dentro per un bel po’ poi ci eravamo lasciati andare esausti, restammo a fumare, pressati l’uno contro l’altra, nel suo letto minuscolo, il tempo passava, ma la porta della camera di Anais non accennava ad aprirsi.
«Caspita, non me lo avrà mica ammazzato tua sorella?»
«Capace! e adesso se lo sta mangiando crudo.»
«No, seriamente, ora che ci penso bene: essere sverginati da Anais…»
«Già, come hai potuto abbandonarlo nelle grinfie di mia sorella? Sei proprio un pezzo di merda incosciente.» Confermò ridendo.
«La prima volta che esce con me: beve, scopa e rimane fuori tutta la notte. Sua madre mi appenderà per le palle.»
Infine decidemmo di andare a vedere che cosa ne era stato dell’amico. Chantal aprì la porta senza bussare. La stanza era a soqquadro, avevano tirato il materasso a terra, per fare chissà quali numeri, anais ora ronfava con l’aria di una gatta soddisfatta afferrandosi alla gamba di Eric. Lui le carezzava la testa, placidamente seduto contro la parete; fissava il vuoto, come al solito, con un lieve sfarfallio della mano e un sorriso a fior di labbra.
«Tutto bene Eric?»
«Sì, però ho fame… c’è qualcosa da mangiare?»
Anais ed Eric presero a frequentarsi, sembravano fatti l’uno per l’altra, lei era un turbine inarrestabile di grida, balli, risa: «Un’autentica rock star», come diceva lui, il suo fan più accanito.
«Incredibile: non ho mai visto mia sorella cotta a questo modo.» Osservò Chantal, indicandomi col mento Anais, avvinghiarsi stretta a Eric con occhi di triglia. «Mi domando che avrà di speciale il ritardato?»
«Smettila di chiamarlo a quel modo, brutta puttana!» Ammonì la sorella.
«Ritardato, ritardato…» Cantilenò Chantal, sfidandola.
«Adesso ti spacco la testa così vedo che c’è dentro.» Urlò Anais.
Le gemelline si accapigliarono come due selvagge: schiaffi, strilla, morsi… il litigio durò per un po’ fino a che, non senza sforzo, riuscimmo a separarle.
«Ma dai Anais, non te la prendere così, tua sorella non dice mica sul serio.» Cercò di calmarla Eric. Le due sorelle erano molto contrariate, ci fu un lungo silenzio teso e io pensavo già di togliere le tende però… Eric si sedette al Pc. «Che università frequenti, Chantal?» Domandò.
«Perchè?»
«Dimmelo che ti faccio vedere un bel giochetto.» Prese a digitare a tutta velocità, a modo suo: a testa bassa, senza guardare. Fece l’occhiolino ad Anais e poi cominciò a fischiettare un motivetto allegro. Osservammo affascinati le sue dita ballare il tip tap sui tasti e lo sconcertante flusso dei dati sul monitor. In meno di mezz’ora aveva perforato il sistema dell’università, ancora qualche rapido comando sulla tastiera, un ultimo return e apparve la scheda di valutazione di Chantal. «Caspita che brutti voti… fai proprio schifo a scuola. Eh, eh.»
«Ma, ma… come hai fatto?» Balbettò Chantal.
«Mica male per un ritardato.» Osservai.
«Hai visto brutta stronza!» Ribadì Anais.
«Buone, non ricominciate, già che siamo qui, effettuiamo una piccola rettifica, facciamo diventare sufficienti le insufficienze delle materie zavorra, per esempio: il Diritto Canonico… chi se l’incula il Diritto Canonico? Passiamo dal quattro al sei. Diritto Romano… ce ne può fregare di meno? Dal tre al sei. Ti darò un 6,5 in Storia del Diritto; tanto sono tutte panzane che si possono trovare con una semplice ricerca in rete. Ok, per oggi basta così.»
«Non ci posso credere. Puoi farlo veramente?»
«Certo che si può! Senza esagerare, altrimenti se ne accorgono. Ti darò una mano nelle materie inutili, però in quelle che servono non ti aiuterò a meno che tu non dimostri che le studi seriamente.»
«Accidenti, sei un genio, come posso ringraziarti?»
«Non litigare mai più con Anais per colpa mia.»
Eric aveva una marcia in più ed era bello stare in sua compagnia; ascoltava molto e parlava poco ma era sempre sensato e positivo quando diceva qualcosa, aveva il dono di animare, di trasmettere la sua passione e voglia di fare. Le gemelline decisero che era meglio condividerselo che litigare per lui.

Una sera eravamo d’accordo che ci saremmo trovati da Eric, profittando del fatto che la madre se n’era andata per il weekend, e che io avrei fatto la Paella. Al mio arrivo, dopo la spesa, li trovai tutti e tre a fare sesso sulla moquette del salotto. Le sorelline stavano baciandosi, cavalcando allegramente: una sfregava la passera sulla bocca di Eric mentre l’altra lo scopava. «Ciao, Manu, vieni a unirti alla festa?» Propose Chantal.

«No, ho un’idea migliore.» Suggerì Anais. «Perchè invece non ti seghi mentre ci guardi?»
Caspita, ho creato un mostro, considerai.
«Credo che farò meglio ad andare in cucina.» Annunciai sbalordito e un po’ invidioso.
In seguito vennero i problemi: Eric non era una persona come tutte le altre e per quanto si sforzasse, non riusciva a seguire il vertiginoso ritmo sociale delle sorelline; semplicemente non poteva andare in giro, frequentare i locali o partecipare ai concerti come facevano le gemelle e i loro amici. Le luci, la gente, il trambusto urbano, la musica ad alto volume, lo scombussolavano. Le sorelline se ne resero definitivamente conto quando, dopo aver insistito perchè le accompagnasse a un concerto di Black Metal, ebbe una crisi epilettica giusto sotto il palco. Eric aveva i propri tempi, le proprie routine, aveva soprattutto bisogno della Rete sicché, a malincuore, le gemelle lo lasciarono al suo mondo, lo andavano a visitare spesso, però; soprattutto quando erano giù di corda e le mancava la sua simpatia e il suo ottimismo.
Un paio di anni dopo dovetti lasciare Parigi perchè di nuovo facevo fatica a trovare lavoro: qualcuno aveva deciso che bisognava essere titolati per essere grafici creativi o realizzare i siti web.
«Non c’è problema.» Aveva proposto Eric. «Ti preparo io per superare gli esami.»
«Tornare a scuola per imparare cose che conosco perfettamente e che già faccio da anni? No grazie.»
Lasciare Eric e le gemelle mi risultò particolarmente penoso. Continuammo a restare in contatto, ma si sa… quando si è lontani non è la stessa cosa. Continuavo ad aver notizie degli amici, buone nuove per quanto riguardava Eric e brutte a proposito delle sorelle.

Chantal si era laureata ed era andata a lavorare nella banca di papà. «È diventata una fighetta insopportabile.» Si lamentava Eric. «Si veste da manager e viene a trovarmi solo quando è depressa o infoiata… uno strazio.» Anais, invece, era fuori controllo. «Va sempre peggio: da un pub all’altro, da un concerto all’altro, continuamente sconvolta.» La gemellina sembrava voler seguire fino in fondo la frase: “Vivi veloce, muori giovane e lascia un bel cadavere”. La tragedia era inevitabile.

«La mia Anais, si è schiantata nel Périphérique.» M’informò Eric una notte. «Guidando un Kawa 700 senza patente.»

La morte dell’amica lo fece soffrire molto, sebbene negli ultimi tempi la vedesse e la riconoscesse sempre meno, non volle parlarmi approfonditamente di lei e di cosa sentisse veramente, doveva farle troppo male. Mi mandò “Trash”, dei suoi benamati Suede, la canzone che invariabilmente Anais obbligava Eric a ballare con lei, nel loro consueto modo languido e stralunato, mentre Chantal e io li prendevamo in giro e ridevamo fino alle lacrime.

Link utili:

Nessun commento:

Posta un commento

Ti piace questa opera? Lascia il tuo commento all'autore!