Il 1994 fu l’anno in cui Charles Bukowski morì. E infatti fu un anno di merda, e non solo per quelli che già amavano Bukowski, ma anche per chi lo avrebbe amato più in là.
E fu un anno di merda anche perché qualcuno decise di “scendere in campo”, e candidarsi alle elezioni politiche.
Fu un anno di merda, poi, perché i genitori di T. decisero di mandarlo a scuola da un’altra parte, e capitò in una classe piena di stronzi.
Faceva la terza elementare e avrebbe voluto morire, solo che i bambini non sanno nemmeno cosa sia la morte, e allora dovette inventarsi qualcosa per galleggiare, come uno stronzo, in mezzo a quel mare di merda.
Lo escludevano perché non ero uno di loro, uno che era con loro dalla prima, o meglio ancora dall’asilo. Era l’estraneo, il forestiero. E allora luivomitava.
Chiedeva alla maestra di turno di mandarlo al bagno, ci andava, si ficcava due dita in gola – sì, non sapeva cosa fosse la morte, ma questo sapeva farlo, cazzo se sapeva farlo – e giù a vomitare succhi gastrici. Poi tornava in classe, toccandosi la pancia, e diceva alla maestra, Non mi sento bene, ho appena vomitato. Posso chiamare a casa?
E chiamava. E all’inizio funzionò. Quella bile che si cacciava fuori, quella scenetta per farsi venire a prendere da sua madre e farsi portare a casa, funzionò. Funzionò giusto il tempo di capire che non si trattava di un virus intestinale o roba simile, che c’era qualcos’altro dietro.
Gli fecero controlli all’ospedale. Era sano come un pesce. E allora divenne tutto più difficile. Quando chiedeva alle maestre di andare al bagno, le vedeva incupirsi immediatamente e, se gli davano l’assenso – cosa che erano obbligate a dargli, in ogni caso -, poi lo lasciavano andare dicendogli dietro, Non vomitare, tanto non ci vai a casa. E allora T. si sentiva in una cazzo di trappola. Un incubo.
Provò allora col fare la scenetta del vomito a casa, prima di andare a scuola, e qualche volta funzionò, soprattutto quando sua madre, gonfia di Tavor, fingeva di credere che suo figlio stesse veramente male, e prendeva la cosa come un’occasione per non scendere dal letto e affrontare la mattinata così presto. E allora T. restava a dormire con lei. Contento.
E suo padre? Suo padre boh. C’era, ma era come se non ci fosse. Aveva delegato tutta l’educazione e crescita di suo figlio a quel coacervo di ansie e paure della moglie, mentre lui se ne stava a guardare quei programmi radical chic della Dandini o altre cazzate del genere su RaiTre fino a tardi, facendo rumorose scorregge che provava a coprire strisciando la sedia per terra e tossendo, per poi andare a dormire nella camera che in teoria doveva essere del figlio, ma dove T. non dormiva mai perché aveva paura del buio. E allora ci dormiva lui per non dormire con la propria moglie.
Insomma, il ’94 fu un anno di merda.
Ma non del tutto.
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