Google+ Il Giullare Cantastorie - Scrittori, artisti e band emergenti: Forme di vita - #Svolgimento

giovedì 27 febbraio 2014

Forme di vita - #Svolgimento

L’aveva capito subito, che qualcosa non andava. Si trattava di indizi minimi, da principio. Piccoli razzismi trascurabili, dicevano. Cose uguali a quelle di cento anni prima, a cui nessuno aveva dato peso. Poi era arrivato il crollo economico, e perfino le banche erano state chiuse. L’uomo si era abituato in fretta, non faceva più effetto a nessuno, vedere i bambini frugare tra i bidoni, vicino alla Scala. Erano cominciati i saccheggi, tutte le città in Europa erano allo sbando. Qualcuno dava la colpa agli immigrati. Perfino gli immigrati se la prendevano con quelli venuti dopo, immigrati come loro. Bande armate di predoni venuti dal nord si aggiravano nella notte, a bordo di mezzi blindati. Meglio fuggire, allora, e lasciarsi il mondo alle spalle. Era un ingegnere aerospaziale, il Mario Brambilla, altro che fare dello spirito sul suo nome.  Si era costruito la sua astronave, e con quella sarebbe partito. Spazio minimo, ma gli bastavano tre cose, da portare con sé. Non aveva amici, il suo vecchio professore era morto. Cosa ci restava a fare, a Milano? Il lancio era previsto per il 26 luglio. Caldo africano. I condizionatori riciclavano anidride carbonica  per le poche forme di vita rimaste. Caricò il cibo liofilizzato, l’acqua, e le tre cose a cui teneva tanto. Attese la notte e poi l’alba. A quell’ora le bande riposavano per effetto della droga. Si sistemò dentro la capsula ed iniziò il conto alla rovescia. Dal finestrino, in un angolo del terrazzo condominiale, al chiarore della luce del mattino vide  Arturo, il gatto della portiera. Non gli era mai stato simpatico, faceva pipì nelle scale, ma era una minuscola parte di Terra che avrebbe potuto portare con sé. Non ci aveva pensato, e non poteva farci niente. Cercò di rilassarsi.
In gioventù aveva fatto parte di un programma spaziale, prima che si sfasciasse l’Unione Europea. Partì alla grande, il Brambilla, lasciando una bella scia luminosa. Ma qualcuno assonnato pensò si trattasse di un attacco nemico, e spedì verso non si sa dove un ordigno nucleare. Un altro  arrivò in risposta quasi subito. Qualcosa attirò l’attenzione dell’ingegnere in orbita intorno alla Terra, mentre si stava facendo una michetta – disidratata tre anni prima – con del buon salame sintetico. Erano esplosioni nucleari, senza dubbio. Non c’era più Milano, né il gatto Arturo, e nessuna  forma umana. Mario Brambilla si asciugò una lacrima e dette un’occhiata alle tre cose che non aveva potuto lasciare. In quel momento si sentì cretino, avrebbe voluto lì quel gatto terribile, che magari avrebbe voluto fare i bisogni, e lui non avrebbe saputo come fare, ad accontentarlo. Sistemò i tre oggetti nella navicella di salvataggio, parevano neonati, parevano il futuro. Li gettò nell’infinita notte spaziale con un banale movimento della mano, poi ringraziò il cielo di aver previsto un meccanismo autodistruttivo, e ridendo si fece esplodere. Migliaia di anni dopo – secondo un calcolo che il Brambilla non poteva più fare – la capsula fu aperta. Conteneva tre reperti di una civiltà antica, alquanto primitiva. Su un bizzarro materiale riportavano simboli difficili da decifrare – Piccolo Principe, S.Exupery – Repubblica, Platone – Il Corriere della Sera – Quest’ultimo oggetto era il più strano, fatto a diversi strati pieghevoli. Il commento unanime degli esperti fu: “Strane forme di vita, offre l’universo”.
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