Google+ Il Giullare Cantastorie - Scrittori, artisti e band emergenti: Processioni e coltellate - Luca Della Casa

domenica 20 aprile 2014

Processioni e coltellate - Luca Della Casa

Il volto della mia amata defunta, mi comparve di fronte all’improvviso, il viso di Maite… come in un sogno ad occhi aperti, un ricordo sbiadito che si mette a fuoco, materializzandosi nell’oscurità. Restò immobile, fissandomi assorta, avvolta nella tunica nera con la pelle lattea, gli occhi e i capelli corvini. Rimasi paralizzato, senza riuscire a respirare con il cuore in gola. Maite mi venne incontro come per abbracciarmi, invece entrò in me e passò oltre, valicò il mio corpo, accompagnata dal vento gelido della morte, la sua voce provenne da un punto indefinito alla mia sinistra: «Attento, dietro di te!»


Uscendo soprapensiero dal commissariato, urtai contro un tipo biondiccio piuttosto robusto, intento a chiacchierare con due “Penitentes” incappucciati, chiesi scusa scansandoli, mi fissarono truci, sentii i loro sguardi sul collo mentre scomparivo nella ressa. A Pasqua i fedeli Penitentes si mettevano un cappuccio conico sulla testa che gli ricopriva il viso e indossavano la tonaca, seguivano le processioni; erano dappertutto, invadevano il centro a migliaia. Ti guardano pure male, che cosa ci fate impalati davanti alla porta, coglioni? Pensai.
Ritornando verso casa, incrociai la confraternita del “Cautivo”, era mercoledì notte, il Redentore tradito e imprigionato, veniva condotto davanti a Pilato. Il viale presentava uno spettacolo lugubre. Migliaia di confratelli seguivano il prigioniero in religioso silenzio, era l’unica processione nella quale era proibito parlare e la consegna si rispettava scrupolosamente. Il corteo sfilava durante tutta la notte, i fedeli che decidevano seguirla a piedi scalzi, avrebbero dovuto curarsi le estremità il giorno dopo, e i portatori sarebbero arrivati all’alba con dolorose ferite sulle spalle, sollevando l’enorme portantina di quasi due tonnellate.
L’avenida era immersa nella quiete, interrotta, di tanto in tanto, dal vento e da una sommessa musica barocca d’oboe, cornette e fagotto. La processione sfilava nell’oscurità con un grave incedere di tonache, croci e stendardi, alla luce di mille ceri. Le sagome nere dei penitenti ed i loro cappucci a punta si diluivano nelle tenebre della notte, tra il profumo d’incenso e crisantemi. Il senso d’oppressione e tradimento traversava l’oscurità silenziosa.

Il Cautivo mi portava ricordi dolorosi, era la confraternita che piaceva ad una donna che avevo molto amato… Maite non era particolarmente religiosa, seguiva la processione, proprio come amava passeggiare per i cimiteri o restare in raccoglimento nelle cattedrali; coincideva con i suoi gusti oscuri, il nero era il suo colore, in esso stemperava i propri sentimenti. 
Sebbene la mente si fosse sforzata di cancellare il dolore, il dispiacere per la sua perdita mi angosciava ancora, nonostante quasi venti anni fossero ormai passati. I peggiori ricordi sfumano nell’oblio, spazzati da una forza invisibile che ci difende dalla follia. La pietosa lobotomia del tempo che scorre, il tempo cura, cauterizza, dissolve; quasi sempre… quasi sempre. Avevo vagato a lungo nel turbamento, il giorno del suo suicidio, con i sentimenti scomposti, stordito dalla visione della morte, dall’oppressione claustrofobica della stanza chiusa e senz’aria. Avevo ancora ben impresso nella retina, la pelle candida del suo petto ormai immoto, le gelide labbra che tanto avevo baciato, l’oscurità ferita, lacerata dalle lame di luce sottili provenienti dalle fessure della persiana. Non ricordavo però il vero dolore, l’autentico dispiacere prossimo alla follia, le lacrime amare dissolte nel buco nero della sofferenza: era tutto scomparso… nemmeno lo strazio del cuore ci è permesso conservare. Ogni cosa da allora mi era sembrata talmente precaria e inutile. La morte ed il dolore sono le uniche certezze, solo i morti ne conoscono la ragione. L’illusione di una tiepida luce ed è di nuovo l’imbrunire, dove tutto è dolore.

Sentivo la presenza di Maite in certe occasioni, ed era particolarmente forte quella notte; permeava ogni cosa. Il volto della mia amata defunta, mi comparve di fronte all’improvviso, il viso di Maite… come in un sogno ad occhi aperti, un ricordo sbiadito che si mette a fuoco, materializzandosi nell’oscurità. Restò immobile, fissandomi assorta, avvolta nella tunica nera con la pelle lattea, gli occhi e i capelli corvini. Rimasi paralizzato, senza riuscire a respirare con il cuore in gola. Maite mi venne incontro come per abbracciarmi, invece entrò in me e passò oltre, valicò il mio corpo, accompagnata dal vento gelido della morte, la sua voce provenne da un punto indefinito: «Attento, dietro di te!»
Mi girai istintivamente, intravidi un rapido bagliore d’acciaio e feci giusto a tempo a schivare l’affondo, un incappucciato voleva la mia pelle. La baionetta lacerò l’aria con rapidi fendenti, dall’alto verso il basso, da sinistra verso destra. L’affilata lama morse la carne mentre cercavo di scansare i colpi.
Il silenzio fu squarciato dalle urla, i fedeli parvero impazzire, corsero barcollanti, ruzzolando in preda al panico su croci, corpi, e ceri riversi. Il sicario venne oltre, inciampai su una donna al suolo e rotolai all’indietro. L’incappucciato m’investì, fermai il suo coltello a pochi centimetri dal collo, afferrandolo al polso, lo agguantai per il bavero, tenendogli il braccio bloccato, poi imprigionai la sua gamba sinistra con la mia e con un colpo di reni lo rovesciai di lato sul selciato; gli assestai una gomitata sotto il naso, lo sentii lamentarsi, sputare denti e sangue. Cercai di disarmarlo e di nuovo provai il morso dell’acciaio. Avevo smesso di pensare, mentre cresceva la paura. Ci rialzammo, piovvero i fendenti; dall’alto verso il basso, da sinistra verso destra e da destra verso sinistra. Il mio istinto mi condusse ad attendere l’inevitabile affondo, schivai l’attacco mortale, senza nemmeno vederlo arrivare, spostai il suo avambraccio con un movimento circolare della mano, mettendomi fuori della traiettoria. L’assassino era ora senza difesa e si precipitava con tutto il peso verso di me, lo colpii con forza. Il tempo parve fermarsi mentre la sua faccia si frantumava contro il dorso del mio braccio teso: il sicario fece un capitombolo all’indietro schiantandosi con la testaccia sul selciato.
Non era finita, altri due finti penitentes si precipitarono verso di me, con sorpresa riconobbi il tipo contro il quale avevo cozzato all’uscita del commissariato, il suo compagno era il più vicino e mi assestò una stoccata, pensai di sentire la lama entrare nel polmone, invece ricevetti solo un gran colpo; il telefono cellulare nella tasca interna della giacca mi aveva salvato. Piazzai un calcio a sfondare sulla bocca dello stomaco dell’assalitore, si ripiegò su se stesso, profittai della sorpresa e spinsi un sicario contro l’altro: caddero, rotolando entrambi.
Mi diedi alla fuga, me l’ero cavata per miracolo contro un assalitore armato, non gliel’avrei fatta contro due di loro. Cercai nel trambusto una via d’uscita laterale, poi intravidi nuovamente Maite vicino all’imboccatura di un vicolo che infilai di tutta fretta, seguito a breve distanza dai sicari. Ero senza fiato, l’inseguitore più rapido mi fu sopra, schivai un fendente ed entrambi rotolammo al suolo, avvinghiati nella lotta, mentre il suo compare con la pistola in pugno, aspettava l’occasione propizia per spacciarmi.
Improvvisamente si udirono delle deflagrazioni, il sicario col revolver crollò al suolo, era arrivata la cavalleria: Leanne correva verso di noi, con il cannone in pugno. Il mio assalitore si diede alla fuga, la poliziotta prese la mira per abbatterlo, troppo tardi; il biondo aveva raggiunto l’entrata del vicolo e si era mischiato tra la gente.
«Tutto a posto?» Domandò.
«Credo di sì, ho solo qualche taglio…»
Leanne non disse altro, si avvicinò al corpo steso al suolo, gli tolse il cappuccio, l’assalitore sembrava sudamericano, aveva i capelli rapati a zero e un complicato intrico di tatuaggi gli scendeva dal cranio lungo il collo, era ancora vivo, fissava la poliziotta con occhi torvi. Due pallottole avevano fatto centro, una sulla spalla e l’altra in mezzo al petto, era riverso in una pozza di sangue, non bisognava essere dei medici per rendersi conto che non gli restava molto tempo.
«Chi ti manda?» Domandò la ispettrice, il killer non rispose, si limitò a fissarla con ostilità, allora lei gli infilò le dita nelle ferite, lentamente ma inesorabilmente, fino in fondo. Il sicario cacciò un urlo di dolore.
«Latra più forte! È musica per le mie orecchie.»
«Leanne, Cristo…» Esclamai. La sbirra non mi fece nessun caso e continuò a rovistare nelle carni della vittima. La sua crudeltà mi lasciò sgomento, continuò imperterrita nell’interrogatorio con una gelida espressione risoluta, sembrava che nulla l’avrebbe distolta dai suoi propositi. «Allora?» Proseguì, rimestando.
«La Flaca te mandó!» Ti ha mandato la morte! Mormorò l’altro, sbarrò gli occhi ed esalò l’ultimo sospiro.
«Ella misma, cabrón!» Proprio lei! Confermò Leanne.


Di corsa all’ospedale, con la sirena nelle orecchie. I neon pubblicitari si scioglievano nel buio, le luci della città oltre il finestrino erano righe luminose che laceravano la notte. Lea sorrideva tenendomi la mano tra le dita insanguinate. Il vento aveva portato la pioggia… il ricordo di Maite e l’orrore si scomponevano nelle gocce sul cristallo. Sentivo freddo. Provavo disgusto, stupore e paura.
Una maniera ben strana di celebrare la Pasqua… Considerai.

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